Covid-19: Tra le mura domestiche h24. E l’equilibrio vacilla

Covid-19: conflitto in casa

Covid-19: Gli effetti della convivenza forzata

“Io resto a casa” è il motto di tutta Italia.

L’Italia si è svegliata in zona rossa e, almeno fino al 3 aprile, la nostra libertà di movimento sarà limitata. Pur cercando di continuare a vivere la propria vita facendo finta che tutto sia normale, in realtà qualcosa è cambiato e qualche preoccupazione può insinuare la nostra mente:

“cosa succederà adesso? Quando finirà tutto ciò? Ma devo veramente stare incarcerato in casa mia? Io impazzirò chiuso in casa…”

Tutto ciò mette a dura prova le famiglie che, sotto la pressione del pericolo del nemico invisibile che si aggira, può dare vita ad un clima familiare irascibile.

Covid-19: cosa succede con la convivenza forzata

I figli studiano a casa, i genitori lavorano da casa, la spesa arriva a casa. Stare chiusi in casa può diventare fonte di ansia e stati depressivi, generare pensieri negativi, preoccupazioni eccessive, uno stato di allarme e irritazione, ma anche di conflitti intra-familiari.

Ci ritroviamo ad avere improvvisamente in casa familiari che solitamente sono assenti, e tale situazione rompe la routine. Dopo un primo momento di contentezza, può scatenarsi il fastidio anche per le piccole cose, per gli spazi di casa perennemente occupati; ed ecco che si passa dal banale screzio al conflitto vero e proprio.

Questo periodo di “reclusione” richiede ad ogni persona di ri-organizzare e pianificare le giornate in modo diverso rispetto a come era abituata… Il tempo si dilata, gli spazi diventano più stretti, gli stimoli più limitati. Affrontare l’isolamento e rimanere per lunghi periodi di tempo chiusi tra le mura di casa non è affatto semplice. Cosa ancor più complicata se a doverlo fare è un nucleo familiare che non è abituato, per normale routine quotidiana, a trascorre h24  insieme, sotto lo stesso tetto…Cosa che mette a dura prova l’umore e i rapporti familiari.

E in questo periodo di emergenza Coronavirus – in cui le persone sono state chiamate alla responsabilità di non uscire – non tutti sono in grado di gestire le misure costrittive e la paura creatasi, creando frustrazione ed alti livelli di stress psicologico e rabbia, fino all’esplosione di veri e propri conflitti intra-familiari. Questa singolare circostanza ci espone al possibile emergere di preoccupazione costante e sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti, di irrequietezza, di sentirsi “con i nervi a fior di pelle”.

Covid-19: ed i nuovi equilibri

Stare insieme è bello, ma se questo avvenisse per scelta. Se invece l’esigenza di star insieme è forzata da un decreto, è necessario ritagliarsi degli ambienti che siano solo tuoi. In questa situazione di emergenza, la casa si conferma il nostro rifugio ma anche il luogo di sbilanciamento degli equilibri interpersonali. La coesione è la risposta naturale contro un nemico comune, anche tra chi era in contrasto fino a poco tempo prima, secondo il principio che “l’unione fa la forza”. Tutto ciò è bello e confortante, ma solo per i primi tempi; perché la guerra da combattere si sta rivelando più lunga del previsto. Ed ecco che avere in casa una persona normalmente assente per gran parte della giornata, come ad esempio, il coniuge che andava a lavorare, può arrivare a spezzare un equilibrio che si era costituito da tempo. Scatta l’insofferenza ed il fastidio anche per le piccole cose. Specialmente se c’era una significativa conflittualità pre-esistente, magari sotterranea, la tensione in casa può scatenarsi, condurre le persone allo spiattellarsi in faccia “il mai detto” quantomeno esasperandolo, o a diventare irascibili. Ed ecco che la tensione in casa, superata l’iniziale esaltazione per il tempo extra da dedicare alle cose trascurate fino a poco tempo fa (per scarsità di tempo), può allora scatenarsi, portare le persone ad essere suscettibili per qualsiasi cosa.

Covid-19: uno strumento per gestire il conflitto

E dunque: “Come si può cercare di affrontare i conflitti derivanti o aggravati dalla convivenza forzata?”.

Innanzitutto, usando la parola non come un’arma per aggredire l’altro, ma come strumento provando ad ascoltare veramente cosa l’altro ci vuole comunicare delle sue emozioni, angosce, dubbi; senza cadere nei soliti meccanismi del “chi ha ragione e chi ha torto”,  ma identificando i diversi bisogni e punti di vista che hanno condotto ad un accumulo di incomprensioni fino a sviluppare tanta ostilità.

Dunque, dirsi il mai detto, ma in chiave costruttiva: usare il tempo per pensare, parlare e soprattutto ascoltare. Soprattutto per capire come l’altro si sente, cosa lo porta ad agire in un modo che può risultare irritante e comprendere le differenti aspettative e bisogni che si celano dietro ai comportamenti reciproci, rispetto ai quali non è detto che ci sia solo una ragione e solo un torto.

 

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